Folle banderuola
Ormai se ne ammirano poche, pochissime. E in misura minore ogni anno che passa. Parliamo delle banderuole segnavento, uno dei tanti emblemi funzionali di un passato ormai svuotato dell’originale significato. Come le meridiane, oggi considerate solo in virtù del loro decorativismo e della loro ricercatezza estetica. Tutti hanno dimenticato che, prima dell’avvento degli orologi domestici, era l’unico modo per misurare lo scorrere del tempo. C’era anche il rintocco delle campane, oggi considerato alla stregua di una semplice “interferenza” uditiva, che avvertiva che ore fosse anche a chi era immerso nel lavoro dei campi, che segnalava l’inizio della messa e – nel corso della giornata – raccontava alla comunità una piccola “cronaca” locale (fra rintocchi gioiosi, nelle giornate di festa, e altri più mesti, per l’estremo saluto a chi se ne andava). Alcuni campanari, al mattino, avvertivano – con suoni precisi – anche che tempo facesse, in modo che la comunità in procinto di svegliarsi conoscesse, ancor prima di aprire le finestre, se fosse una giornata di sole, di pioggia, di vento, di neve…

Meteorologia domestica
Questi riferimenti meteo hanno – più che mai – una precisa ragion d’essere per l’argomento che vi proponiamo in questa occasione. Perché le banderuole segnavento – tecnicamente definibili come “anemoscopi”, strumenti per rilevare la presenza e la direzione del vento; da non confondere con gli anemometri, che ne misurano la velocità – svolgevano un ruolo fondamentale quando i bollettini meteorologici non esistevano ancora. In un’Italia ancora rurale, strettamente legata al lavoro all’aria aperta, era fondamentale prefigurare la situazione meteorologica sulla base dei pochi indizi disponibili, quali, appunto, l’intensità e la direzione del vento.
L’avvento della radio, della televisione e di internet ha disintegrato questa dimensione funzionale. Al punto che, oggi, le banderuole sono associate a un ruolo esclusivamente decorativo, velatamente naïf, ingenuo e infantile. Eppure, a ben guardare, l’ingenuità e la naïveté sono soprattutto negli occhi di una contemporaneità viziata dalle comodità e assuefatta ad abitudini che hanno polverizzato la memoria storica. E anche la poesia del passato.
Segnavento di metallo e di tessuto
Metalliche, a forma di bandiera, oppure di grifone, di chimere, di leone… Di tessuto, strutturate come strisce di tela o come maniche a vento… La storia delle banderuole risale alla notte dei tempi. La prima di cui si ha testimonianza risale al 48 a.C., collocata sulla Torre dei Venti di Atene dall’astronomo Andronico e raffigurante Tritone, il dio del mare.
Un galletto sul tetto
Ma, pensando a una banderuola, la prima immagine che torna in mente è la silhouette di un galletto. Una figura che ricorre sin dal IX secolo, per merito di papa Niccolò I, che impose una banderuola a forma di gallo sulla sommità di ogni campanile. Ma perché proprio il gallo? Il riferimento è al Vangelo di Marco e – più precisamente – alle parole relative al tradimento del discepolo Matteo: «In verità ti dico: proprio tu oggi, prima che il gallo canti due volte, tu mi rinnegherai tre volte».
La più antica banderuola sopravvissuta è il cosiddetto “Gallo di Ramperto”, tempestato di pietre preziose, posta nell’anno 820 sul campanile della Chiesa dei Santi Faustino e Giovita, a Brescia, per volere del Vescovo Ramperto.
Da emblema di prestigio a strumento popolare
Per secoli e secoli, i segnavento sono stati emblema di prestigio sociale. Solo gli edifici delle famiglie più ricche e potenti potevano fregiarsene. Non è un caso che molte banderuole del passato rechino stemmi, insegne e simboli nobiliari. In epoca comunale, il loro utilizzo fu esteso all’alta borghesia mercantile. Nel Seicento, alcuni proprietari terrieri di origini non nobili provarono a ribellarsi al divieto di installazione. E solo nel Settecento le banderuole conobbero una vera diffusione anche fra i ceti popolari.

Evoluzioni linguistiche e musicali
Oggigiorno, le banderuole sono completamente scomparse dalle case della contemporaneità. C’è ancora qualche costruzione antica che ne fa tesoro, talune cavalcando l’avvento di nuovi materiali resistentissimi alle intemperie (come nel caso del corten). Così come capita di ammirarne numerose in qualche vecchio borgo risorto grazie a imprenditori illuminati (di recente, abbiamo ammirato numerosi segnavento in un bellissimo villaggio nell’Oltrepò Pavese che teniamo in serbo per i prossimi CasAntica).
Ma il termine “banderuola” è ancora oggi d’uso comune, seppur in ambito completamente diverso, utilizzato per designare le personalità più influenzabili. E resiste anche in ambito musicale. Il pensiero corre a “Folle banderuola”, allegro motivetto scritto da Gianni Meccia nel 1959 e lanciato da una giovanissima Mina. E, scrivendo di questo argomento, è inevitabile canticchiarla.
