Il fascino dei caloriferi in ghisa
Nell’ambito del riscaldamento domestico, le scuole di pensiero sono sostanzialmente tre. C’è chi ama le stufe. C’è chi punta sull’invisibilità del riscaldamento a pavimento. E c’è una stragrande maggioranza che sceglie i termosifoni, utilizzati con mille accorgimenti: c’è chi li nasconde e chi, per contro, li lascia in bella vista.
Nell’ambito del recupero architettonico, un’alternativa ambitissima è rappresentata dai caloriferi d’antan, in ghisa e dalle proporzioni monumentali. Alcuni appassionati di materiali antichi li adorano, preferendo la loro natura decorativa (spesso esaltata da “ricami” in rilievo) alla nudità senza tempo dei pavimenti radianti.
La loro forma racconta…
Innanzitutto, i caloriferi antichi catturano l’attenzione per la loro scala dimensionale. Sono più grandi rispetto a quelli contemporanei. La ragione? Le antiche dimore che li ospitavano erano spesso soggette a dispersioni di calore.
Non solo: quei vecchi caloriferi dovevano essere proporzionati al volume da riscaldare. E quasi sempre si trattava di ambienti estremamente grandi: soggiorni di dimore signorili, saloni di rappresentanza, camere amplissime… I caloriferi rappresentavano un lusso ed erano appannaggio di famiglie benestanti. È una considerazione che vale la pena sottolineare perché oggi i caloriferi rappresentano un’alternativa democratica che accomuna tutte le case, ricche o povere. Ma nei primi anni del loro avvento non era certo così.
Le tecniche del passato
I caloriferi del passato rappresentavano un lusso anche dal punto di vista tecnico. Erano piuttosto grossi e pesanti. E per alloggiarli si faceva ricorso ad appositi attrezzi. Per renderli funzionanti, poi, si doveva far fronte al problema di come far circolare l’acqua calda. Un’esigenza non da poco, considerando che, in passato, i circolatori-pompe erano utilizzati soprattutto nell’industria ma non nelle abitazioni civili. La distribuzione dell’acqua avveniva con la tecnica a termosifone: l’acqua, scaldandosi, si alleggeriva e saliva verso l’alto. Raggiunto il calorifero, l’acqua cedeva calore all’ambiente e si raffreddava, ridiscendendo verso il basso, dove c’era la caldaia, che provvedeva a scaldarla di nuovo. Un ciclo costante, lento, che richiedeva tubi di grandi dimensioni, disposti con procedure complesse e con pendenze non casuali. Un altro problema era rappresentato dal combustibile che alimentava la caldaia (a legna, a carbone, a torba…), che necessitava un controllo pressoché costante e, talvolta, una figura preposta.
La rifunzionalizzazione
E per chi intende rifunzionalizzare questi vecchi esemplari? Quali sono gli accorgimenti fondamentali? Prima di installare un qualsiasi radiatore antico, è fondamentale verificarne l’integrità. All’interno possono essersi creati sedimenti di fanghi e ossidi. È necessario lavarli, riempirli di acqua e metterli in pressione.
Altro aspetto centrale riguarda la collocazione di questi vecchi caloriferi, da valutare anche in base alle loro dimensioni, alla loro portata e alla loro capacità termica. Poi è necessario allacciarli a un impianto ben coibentato e molto efficiente, considerando che l’acqua dovrebbe essere a una temperatura minima di 65-70 gradi.
Vantaggi e svantaggi
Oltre agli aspetti estetici e alla possibilità di far tesoro del loro cromatismo naturale o rivisitarli con i colori prediletti, un grande vantaggio di questi vecchi caloriferi è rappresentato dalla ghisa, materiale che garantisce un’ottima resistenza meccanica e alla corrosione. Un’altra qualità ancor più importante è rappresentata dalla notevole inerzia termica della ghisa. Questi vecchi esemplari richiedono un po’ più tempo per entrare in temperatura, ma la conservano a lungo.
Gli svantaggi sono strettamente intrecciati ai pregi: radiatori di questo tipo necessitano di una maggiore quantità di acqua calda. Dunque: richiedono un maggior dispendio di energia, specie se utilizzati in maniera discontinua. Chi non prevede un loro utilizzo continuativo e ragionato dovrebbe scovare un’altra alternativa.