L’arcobaleno si accende
Per taluni sono minuscoli dettagli. Eppure, in tema di recupero, fanno un’enorme differenza. Parliamo degli interruttori della luce e delle prese di corrente. Hanno fatto la loro comparsa in ambito domestico da pochi decenni e – da soli – raccontano con efficacia la storia della casa. Alcune dimore ne sono del tutto prive: si tratta delle costruzioni abbandonate da tempo immemore. Altre si caratterizzano per la presenza di interruttori vecchissimi: queste raccontano di una trascuratezza cominciata nel dopoguerra e incrementata dal boom economico, con l’abbandono delle campagne e dei borghi rurali più isolati. Poi ci sono le case che non hanno mai conosciuto abbandono, caratterizzate dalla presenza di interruttori e prese elettriche che raccontano l’evoluzione del gusto e del design. Addirittura, osservandoli è facile risalire anche al periodo dell’ultima ristrutturazione, se negli anni Cinquanta, Sessanta, Settanta, Ottanta, Novanta…
Nell’ambito del recupero architettonico è possibile seguire più percorsi. Alcune case antiche non recano traccia d’interruttori (pensiamo ai restauri conservativi che, per non deturpare le pareti originali, si servono di colonnine a pavimento, di impianti telecomandati, di domotica). Altre case antiche puntano sulla contemporaneità e sull’hi-tech, promuovendo l’utilizzo di interruttori dalle linee geometriche purissime e, per questo, poco invasive (taluni, per mitigarle, li dipingono dello stesso colore delle pareti). E ci sono case che si servono di interruttori che evocano quelli d’antan, realizzati con un gusto vintage che richiama gli albori degli impianti elettrici domestici. Chi li sceglie, talvolta si concede anche il lusso di lasciare ben in vista sulle pareti i fili a treccia (talvolta con misura, altre volte con gusto eccedente).
L’universo degli interruttori vintage è sterminato. Sia dal punto di vista dei materiali (in ceramica, in plastica, in ottone, in bronzo…). Sia dal punto di vista della conformazione (grande, piccola, circolare, squadrata, in rilievo più o meno marcato rispetto alla parete…).
Un po’ meno fantasiosa la scelta dei colori: molti interruttori vintage puntano sul bianco e nero, come le trasmissioni televisive d’antan.
Fra le rare eccezioni – esteticamente molto stuzzicanti – ci sono gli interruttori della collezione Roo di Katy Paty., che abbiamo scelto per illustrare questo post. Si tratta di un’azienda di Design che realizza interruttori in porcellana di straordinaria qualità (il caolino tradizionale di Karlovy Vary, città della Repubblica Ceca, capoluogo del distretto e della regione omonimi; questo caolino, unitamente ai metodi di cottura, garantisce opere di eccezionale stabilità cromatica, resistenti all’usura e, praticamente, eterni), lavorati a mano (ogni esemplare ha una propria anima, una propria unicità) e caratterizzati da un’eleganza capace di adeguarsi ai contesti più diversificati e di valorizzarli, dalle ville più ambiziose ai loft, dalle case di campagna ai vecchi annessi agricoli.
La tavolozza è sorprendente. Si può spaziare dai colori della serie Black & White a quelli della serie Decorus (dalle tinte naturali), Pnoe (dalle tonalità pastello), Nitor (che promuove colori primari e secondari resi con gusto deciso), Opulent (con finitura metallica che rievoca argento, rame, oro o con effetto madreperlaceo della porcellana tradizionale), Perfectus (dalle intriganti opalescenze in trasparenza), Lignum (che assembla porcellana e i colori naturali di varie essenze lignee)… E ci sono anche le combinazioni multicolore della serie Stigma originale.
È una delizia, scorrendo il sito, scoprire tanti sorprendenti e inaspettati colori. Ed è interessante addentrarsi anche fra le specifiche tecniche che caratterizzano questi meravigliosi interruttori, prese di corrente, campanelli…