Le vecchie porte raccontano…
Uno degli aspetti più interessanti del nostro girovagar per case antiche è la possibilità di imbattersi in emblemi di una quotidianità dimenticata o drasticamente trasformata.
Prendiamo, per esempio, le vecchie porte. Osservandole con attenzione è possibile scoprire quanto sia mutato il tema della sicurezza domestica. Oggi siamo abituati a porte blindate, ad ardimentosi meccanismi di chiusura e ad accorgimenti in robusta ferramenta. In passato non era propriamente così.
L’impenetrabilità domestica aveva una ragion d’essere soprattutto nelle dimore cittadine, nei palazzi e nelle ville nobiliari. Dov’era addirittura enfatizzata. Perché nelle case dei signori, prima di varcare la soglia, le barriere da superare erano tante: il magniloquente cancello, gli imponenti cani da guardia sguinzagliati in giardino, il massiccio portone d’ingresso (presenza fondamentale nel caso delle residenze estive o vissute solo stagionalmente), il maggiordomo…
Nelle comuni case di campagna, la situazione era ben diversa. Per quanto oggi possa sembrare incredibile, molte erano completamente prive di serratura. Chiunque avrebbe potuto varcare la soglia, di giorno e di notte. Una consuetudine neppure troppo lontana nel tempo: in certe zone d’Italia isolate e difficilmente raggiungibili si è continuato a vivere come in un passato, quando le case erano popolate di famiglie numerose (c’era sempre qualcuno a controllare, forse ad eccezione della domenica mattina, quando ci si recava a messa), dove si lavorava in casa (alcuni si inoltravano nei campi, ma c’era sempre qualcuno a vegliare, in cucina, nell’orto o nella stalla), dove la cooperazione tra vicini era serratissima (c’era sempre qualcuno a controllare anche le abitazioni in lontananza) e dove i veicoli a motore rappresentavano l’eccezione (non dimentichiamo che anche nel recente passato, in certe zone d’Italia, le sparute automobili non passavano inosservate e i malintenzionati motorizzati erano facilmente smascherabili). Poi ci sono altre considerazioni: oggi siamo soverchiati dai rumori di fondo, dal traffico, dalla televisione, dai telefonini… L’Italia del passato era infinitamente più silenziosa (e anche l’udito era, mediamente, molto più fine). Nelle zone di provincia, qualsiasi rumore sospetto veniva facilmente captato. Nelle case lontane dai centri abitati non c’era neppure bisogno di campanello. L’arrivo di un ospite, rumoroso o silenzioso, era percepito comunque.
Tracce di questi trascorsi dimenticati si trovano ancora nelle case del passato. A cominciare dalle porte. Quelle da esterno e quelle da interno. Più che serrature propriamente intese, ricorrevano i catenacci, leve e altri sistemi di chiusura tutt’altro che impenetrabili. Le maniglie – che molti immaginano essere da sempre in robusto metallo – erano spesso elementi lignei puramente funzionali, semplici impugnature per tirare o per spingere, in barba a qualsiasi meccanismo di scatto.
Altra curiosità – che oggi potrebbe risultare incomprensibile – era il fatto che, ancor più delle case, le chiusure di sicurezza (catenacci, catene e lucchetti) erano più frequenti nelle porte che cingevano ambienti non abitati: la cantina, la stanza dei salumi, quella dei formaggi… I piccoli tesori domestici veri e propri non erano “blindati” in corrispondenza dell’ingresso, ma, più spesso, le piccole chiusure riguardavano gli arredi. Gli appassionati d’antico sanno bene che molti mobili del passato erano spesso dotati di meccanismi di chiusura: serrature, chiavi e lucchetti ricorrevano più frequentemente nei bauli del corredo, nelle cassettiere “segrete”, negli armadi… Nei mobili di oggi non succede più. Ci avevate fatto caso?
Osservare l’antico significa davvero imbattersi in tante dimenticate – e sorprendenti – abitudini del passato. Aguzzando la vista è possibile anche ripercorrere la metamorfosi “intermedia” di una porta, magari rivisitata con uno spioncino improvvisato o una finestrella che, in origine, non c’era. Basta imparare a scorgerli per interiorizzare lezioni affascinantissime.