Vestiti che arredano
Non si tratta di arredi. E neanche di complementi. Eppure ricorrono in svariate case, quelle rivisitate con un tocco femminile. Parliamo degli abiti trasformati in elementi d’arredo.
È uno di quei campi d’azione che creano fazioni opposte: una buona metà degli appassionati – in particolare i signori uomini, in genere abituati a pensare alle case da un’ottica più strutturale – non scorge alcun significato in queste presenze tessili. Ne abbiamo avuto riprova visitando case maschili del tutto prive di quegli accorgimenti capaci di accendere l’atmosfera, il calore e l’amabilità degli ambienti domestici. Questi tocchi – che riguardano mille altri campi d’azione, a cominciare dalle tende – sono una prerogativa soprattutto femminile. Che racconta molto della formazione e dell’immaginario delle signore che hanno dato vita a quegli ambienti.
Di madre in figlia
La presenza di abiti in bella vista è un’eredità strettamente intrecciata al ricordo della quotidianità casalinga delle nonne e delle mamme. Il grembiule appeso in cucina, la camicia da notte esposta in camera da letto, il vestito della festa appena stirato e appeso a una gruccia sull’anta di un grande armadio evocano ricordi di una dolce convivialità che si è tramandato, per decenni, di madre in figlia. E che, inevitabilmente, tante padrone di casa desiderano ricreare, associandolo alla propria intimissima idea di affettività domestica.
Lezione di cucito
Questi vestiti d’arredo, soprattutto, risvegliano il ricordo di attività femminili del passato, quando il prêt-à-porter non era consuetudine e gli abiti si confezionavano su misura. In ogni famiglia o quasi c’era almeno una figura preposta al ruolo di “sarta”, abilissima con ago e filo, capace – se non proprio di realizzare un vestito – di accomodarlo, di rammendarlo o di trasformarlo. Molte appassionate d’antico che puntano sui vestiti come elementi d’arredo sono proprio quelle che, da ragazzine, hanno imparato a destreggiarsi con le tecniche sartoriali imparate dalla nonna, dalla mamma, da una zia, da una vicina di casa…
Tesori di famiglia
Come vengono scelti questi “vestiti d’arredo”? Inevitabilmente sono selezionati fra quelli capaci di evocare una ricercata eleganza. Ma ancor più importante è ciò che raccontano (almeno a chi li possiede) e il loro significato dal punto di vista affettivo. Talvolta si tratta di modelli unici, da collezione, legati alle origini di qualche griffe. Altre volte si tratta di abiti legati alla propria infanzia o a una giornata speciale. Altre volte ancora si tratta di un tesoro di famiglia, magari l’abito da sposa indossato dalla padrona di casa, oppure quello appartenuto alla mamma o a una nonna, come ci è capitato di ammirare in una casa aretina.
Souvenir di tessuto
Sempre in tema di vestiti d’arredo, un filone a sé stante è rappresentato dai costumi , dai capi d’abbigliamento o dagli accessori acquistati in paesi lontani. Molte padrone di casa, più che per rievocare un immaginario femminile senza tempo, fanno tesoro di queste presenze per sottolineare la loro passione per i viaggi. Ricordiamo un elegante kimono esposto in bella vista, capace di regalare all’ambiente un pizzico d’Oriente. E ricordiamo una stanza ispirata al tema del viaggio, dove svettavano alcuni abiti evocatori di culture remote.
Le macchine per cucire
I vestiti utilizzati come elementi d’arredo sono emblema di una quotidianità domestica affine a quella evocata da altri simboli sartoriali. A cominciare dalle macchine per cucire, una presenza così diffusa e ricorrente nelle nostre case antiche da essere ampiamente interiorizzata – e perfettamente comprensibile, come non avviene con gli abiti – anche dalle figure maschili più lontane da questo immaginario.
Silhouette d’altri tempi
Un altro emblema più desueto, ma sempre più diffuso nelle mostre di antiquariato, di modernariato e di vintage, è rappresentato dai manichini. Un simbolo che rievoca i piccoli laboratori domestici della sarta di fiducia della mamma o della nonna, quella da cui ci si recava, da bambine, per farsi realizzare il vestitino della festa, dopo aver scelto accuratamente il tessuto. Questi manichini da sartoria estendono l’immaginario a seduzioni più metropolitane, quelle dei negozi d’abbigliamento e dei grandi magazzini del passato. Questi manichini sono emblema di un sogno tipicamente femminile e senza tempo, senza distinzione alcuna fra chi è cresciuto in campagna e in città.
La loro sinuosa silhouette ricorre ormai in un numero crescente di case antiche. Questi manichini, fra l’altro caratterizzati dalle proporzioni anatomiche oggi superate (a testimonianza di come i criteri estetici siano profondamente mutati) vengono riutilizzati con le modalità più disparate. Alcune padrone di casa li espongono in purezza, come un emblema autosufficiente. Altre colgono l’occasione per abbigliarlo, trasferendo il risalto dal manichino all’abito, che diventa assoluto protagonista. Altre ancora lo impreziosiscono con accessori o con monili (ricordiamo la dimora di una disegnatrice di bigiotteria punteggiata di manichini “vestiti” di soli gioielli).
Ricordi prêt-à-porter
Rientrano in quest’ambito anche i cappelli (uno degli accessori più amati e collezionati, dalle signore come anche dai signori uomini), i foulard, le camicie da notte, le borsette… Visitando tante case antiche ci è capitato anche di ammirare i capi d’abbigliamento ancor più desueti. È il caso delle scarpette di raso di una padrona di casa dai trascorsi di danzatrice. E, ancora, di un paio di minuscole scarpine da bambino alloggiate in una campana di vetro. Si tratta di un ricordo d’infanzia. E la proprietaria di quella casa, invece di occultare quel minuscolo tesoro del passato all’interno di una infruibile scatola accatastata in soffitta, ha pensato di valorizzarlo, coniugando personalità, creatività e affetto. E non è un caso che la padrona di casa in questione provenga dal mondo della moda, palestra perfetta per tonificare finezze e guizzi di soggettività che si traducono anche nell’estetica domestica.