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L’antico suona alla porta

Il campanello elettrico ha due antesignani: la campanella e il battiporta. Nelle case di campagna, invece, bastava spesso la voce. L’avvento dell’elettricità e l’abbandono delle campagne ha rivoluzionato il campo d’azione. Dispiegando accorgimenti tecnici ed estetici interessantissimi.

La storia del campanello

Un particolare domestico che narra un passato relativamente prossimo ma del tutto dimenticato. La diffusione dei campanelli elettrici (o, in chiave ancor più contemporanea, dei videocitofoni) ha una lunga storia e si presta a considerazioni estremamente articolate e meritevoli di riscoperta.

Gli antesignani acustici

Gli antesignani sono il battiporta e la campanella. Il primo era ricorrente nelle dimore in centro storico e nei palazzi di città. La campanella, invece, era un must nei conventi o nei complessi architettonici più grandi. Nelle campagne e nelle costruzioni rurali più isolate, invece, bastava la voce. Quasi sempre. Ci si conosceva tutti. E non erano ancora tempi di “inquinamento acustico”. È noto che i nostri avi, meno tartassati da rumori incessanti, possedessero un udito più fino.

Un’esigenza metropolitana

La diffusione del campanello è legata all’avvento dell’energia elettrica, all’abbandono della campagna e alle sempre più diffuse esigenze degli appartamenti cittadini. Prima del campanello, chi abitava in un condominio aveva due alternative: un portiere a guardia dell’ingresso o un portone sempre aperto. 

L’avvento del campanello offriva un vantaggio oggi dimenticato: consentiva ai nottambuli (storicamente guardati con biasimo anche per questa ragione) di farsi aprire la porta nottetempo senza svegliare il vicinato.

Tecnologia d’antan

Annotazione fondamentale: la conformazione del campanello ha avuto, sin dalle origini, chiari intenti di rappresentazione dello status sociale di chi abita una dimora. In termini netti: c’era chi puntava sulla nuda funzionalità e chi, per contro, ostentava una ricercatezza formale sopra le righe. Senza vere soluzioni intermedie.

Vale per la conformazione come per la collocazione del campanello. I primi esemplari erano spesso montati nella porta (soluzione ben più economica e molto meno invasiva dal punto di vista strutturale). Solo nelle dimore più ambiziose erano fissati alla parete.

In generale, i campanelli delle origini erano in metallo, con batacchio e campanella spesso forgiati a mano, con dimensione proporzionale al volume sonoro. Curiosità: il pulsante e la suoneria – oggi alloggiati ad altezze diverse – non erano ancora distinti e sorgevano spesso alla medesima altezza, con il pulsante da una parte e la suoneria dall’altra.

Suoni spartani e suoni signorili

Il pulsante esterno poteva essere delle conformazioni più svariate: un bottoncino o un tasto basculante alloggiati in una placchetta di metallo, ceramica o altri materiali più o meno ricercati. Nelle case meno ambiziose, questa placca era spesso assente. Nelle dimore signorili, per contro, la placca era talvolta gigantesca, impreziosita da incisioni, cornici, rilievi e nome in bella vista.

Questioni acustiche

Non è facile imbattersi in vecchi campanelli rifunzionalizzati o rifunzionalizzabili, per il semplice fatto che non assecondano le norme vigenti in termini di sicurezza. Vale per l’impianto e vale anche per la tipologia del suono. A proposito: l’udibilità di un campanello è una questione tanto importante quanto raramente affrontata. Questa è strettamente correlata al volume, dall’altezza del suono (meglio una nota squillante, che possa essere ben distinta dai rumori di fondo) e anche dalla durata. Ma molto dipende da chi è dall’altra parte della porta: c’è chi ha mano pesante e c’è chi punta sull’impercettibilità. In realtà, chi desidera realmente farsi sentire, ancor più dell’energia e della durata, dovrebbe puntare su suoni intermittenti a distanza ravvicinata, più educati – e, a parità di volume, assai più efficaci – di un suono costante. Non è un caso che i campanelli meno invasivi (graditissimi nei condomini e nei palazzi con più appartamenti) si caratterizzino per una doppia nota. Espediente che consente di ridurre educatamente il volume.

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